"Storia di un'Unione", seconda puntata, Franz degli Ultras Unione

02.11.2023 16:50 di  Manuel Listuzzi   vedi letture
"Storia di un'Unione", seconda puntata, Franz degli Ultras Unione

Eccoci arrivati al secondo appuntamento con la rubrica “storia di un’Unione”. A ricordare gli ultimi 36 anni arancioneroverdi quest’oggi abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Franz, storica figura degli Ultras Unione, ma prima tifoso mestrino.

Ci racconti quelle settimane turbolente dopo l’annuncio della possibile fusione?

Ero davvero troppo giovane, avevo 18 anni ed ero parte di quel gruppetto di ragazzi che stava cercando di prendere in mano la curva del Mestre. C’era un ricambio generazionale in atto e le cose sono maturate molto in fretta. Dall’ultimo derby in cui andammo a Venezia con lo striscione “no alla fusione”, in poche settimane, esattamente il 26 giugno 1987, il gioco era fatto. Ma al di là di qualche sondaggio sui giornali o qualche scritta in giro, non c’era stato nulla di così organizzato per contrastare questo processo. Anche perché l’annuncio del nuovo nome, ovvero VeneziaMestre aveva già aiutato a stemperare alcune tensioni.

In che rapporti eravate a quel tempo con la controparte veneziana e come si vissero i primi giorni dopo la nascita dell’Unione?

Io non avevo rapporti all’epoca con i neroverdi, anzi, ero uno dei pochi ad andare a scuola a Venezia con la sciarpa del Mestre.. li conoscevo di fama possiamo dire. La prima volta in curva assieme ci si guardava, noi con i nostri amici, loro con i  loro, diciamo che ci “annusavamo”, prima tra di noi, poi con le altre tifoserie. Ed iniziavamo così a scoprire come, alla fine, eravamo uguali, la “puzza” era la stessa (ride ndr), perché il nostro contesto era lo stesso, lo stile era lo stesso, fine anni 80, capelli lunghi, inquieti, ribelli.  Quello che mi colpì era vedere lo stadio piano piano riempirsi ed iniziare a comprendere le potenzialità che potevamo avere. Mi ricordo la terza giornata a Castelfranco, con un migliaio di veneziani e mestrini al seguito, pieno zeppo di ragazzi giovani; là fu un momento in cui iniziammo a capire che potevamo veramente creare qualcosa di speciale. Tutto l’anno fu così un viaggio stupendo ed un crescendo continuo.

Come funzionava la gestione della curva all’inizio?

I primi a prendere in mano la situazione furono quelli del Club Primo Amore, un gruppo eterogeneo, formato da entrambe le ex fazioni e che puntavano moltissimo sulla nominazione VeneziaMestre, mentre a noi ci incantava di più il termine Unione. La squadra andava alla grande ed arrivarono i due match clou, il primo con il Mantova in casa, prima grande tifoseria avversaria e rivale sia di Mestre che di Venezia, con una curva straboccante, un entusiasmo ed una carica incredibile, tanto che gli scalini del Baracca si erano addirittura piegati. Il Club primo amore gestiva i cori, ma erano i ragazzi più giovani che iniziavano a farsi vedere e sentire. Partivano solo cori “Unione” e “VeneziaMestre”, e da lì iniziava il grande tema dell’arancioverde.

Ci racconti degli Ultras Unione?

La nascita degli ultras unione avvenne la settimana del derby di Treviso. Stampavamo volantini e li distribuivamo anche al di là del ponte: “Andiamo tutti a Treviso, firmato UU!”. Non c erano ancora sciarpe o altro ma gli Ultras Unione lanciavano la trasferta di Treviso. E poi fu un crescendo. Vedi, prima eravamo piccole tifoserie senza grande storia o cultura, come quasi tutti in Italia nel 1987, ora è diverso. Gli UU fondamentalmente non potevano fare un gruppo elitario, dovevano creare questa identità e promuoverla per crescere, hanno sempre avuto questa attitudine all’egemonia, ad essere un gruppo di massa. Ciò significava perdere un po’ di radicalità su alcune questione, doversi preoccupare di questioni riguardanti il complesso della tifoseria, dalle trasferte di massa come Cesena in cui girammo tutti gli autobus ai vari club, mentre noi occupammo diversi treni. La cosa importante è che ci domandavamo sempre chi eravamo, e questo lo spero anche per le nuove generazioni. Qual era il nostro ruolo all’interno dello stadio. Una delle prime prese di posizioni nette, ricordo a tal proposito, fu contro il Varese; era scoppiata la guerra del golfo da pochi giorni ed il Bae che entrò in campo attaccando lo striscione sopra alla neve con scritto“no alla guerra”. Un altro momento per capire chi eravamo è quando siamo andati in b, prima trasferta a Lecce e subito grandi offese ed insulti da parte loro perché stava nascendo la lega nord, poi i secessionisti a San Marco, e lì nasce la presa di distanza; dovevamo gridare giù le mani dalla nostra città, dai nostri simboli, dalla nostra bandiera. E siccome per queste ragioni in Veneto ci chiamavano terroni, noi diventammo i “terroni del nord”, uno slogan che però nascondeva un pensiero, un ragionamento. E così prendi coscienza del tuo ruolo nel meccanismo repressivo che iniziava a nascere negli anni 90; dai lacrimogeni ai manganelli rovesci, le cariche. Mano a mano si eludevano gli spazi di libertà allo stadio, le trasferte vietate, i daspo. Ed inizi a trovare la tua posizione, i tuoi ideali, come la battaglia antirazzista in curva, considerato che erano i primi anni di giocatori africani, in pratica dovevi maturare e fare delle scelte, ed averlo fatto ci ha fatto crescere come persone e come curva. Nella sud c’erano attivisti occupati quasi ogni giorno per l’Unione e chi veniva allo stadio dietro di noi, ma noi condividevamo tutto, compreso i drammi della droga di quegli anni.  Ovviamente mio fratello Bae, che porto nel mio cuore, ma la prima grande tragedia capitò prima di un VeneziaMestre-Spezia in cui scoprimmo che uno dei nostri non si svegliò.. fu una domenica di trance, un dolore immenso e che non si poteva spiegare a quell’età.

Cosa successe invece quando la società decise di tornare al nome Ac Venezia?

E’ la cosa che non perdonerò mai a Zamparini, quella di tornare a quel nome e quella di aver dichiarato negli ultimi anni di aver sbagliato con la fusione. Perché no, non aveva sbagliato in quel momento, ma con le porcherie fatte dopo.. Ricordo che il gruppo squadra era già formato, pronto. Ci convocò in un ristorante di forte Marghera, ci mostrò la maglia mezza arancio e mezza verde della nuova stagione che mai utilizzammo. Ci disse che doveva bloccare queste nuove correnti che nascevano in città e che ritornare al nome Venezia per un breve periodo era la cosa migliore, ma che presto sarebbe tornato il nome originale del VeneziaMestre. Qualcuno purtroppo non sembrava particolarmente “colpito” dalla cosa, ma più che altro per la maggior parte di noi contava solamente ciò che ormai stavamo creando, eravamo il VeneziaMestre, quella era l’unica cosa che avesse importanza. Col senno di poi è stato un errore, avevamo la forza di impedirlo ma eravamo troppo giovani. Uno dei pochi errori che ci complicò le cose. Perché fino a quel momento i giornali chiamavano la squadra con la nuova denominazione e la città, la tifoseria la fece propria. Fu un punto di svolta perché diventò un dogma, una questione fondante, costituente, per noi. Non potevamo aver sacrificato il nostro Mestre ed il nostro Venezia, con quello che era diventato un patto di sangue con quelli che avevamo riconosciuto come nostri fratelli, per poi buttare via tutto. Per noi doveva rimanere VeneziaMestre, a qualsiasi costo. E lì si innescò la cosa più bella, a pochi anni dalla fusione, con il collante dei buoni risultati, anche se Zamparini ci regalò degli autobus per farci accettare la cosa, ce ne fregammo, andammo in treno alla prima trasferta di Lucca e stendemmo un enorme striscione con scritto “c’è solo Veneziamestre”. Ormai sapevamo chi eravamo.

Da ex arancionero ti da fastidio che sul sito non ci sia la storia del Mestre e che la società quasi se ne dimentichi?

Non mi da fastidio personalmente, ma penso sia un errore. Come se avessi mamma e papà ma parli solo di uno. Questa squadra è il Venezia nato nel 1907 ed il Mestre nato nel 1929. C’erano due realtà con il loro seguito e la loro bella tifoseria che hanno deciso di mettersi assieme, questa è la verità. Il mio Mestre è la dentro, ed io non rivoglio nessun altro Mestre.

E che ne pensi invece dei nuovi Mestre e Venezia?

Sono squadre che rispondono all’esigenza di persone che vogliono identificarsi in una storia che forse non hanno nemmeno conosciuto (anche perché i soli che l’avrebbero conosciuta ormai hanno la loro età, e fa ridere che i giovani pensino di conoscerla) ,ma non giudico nessuno. Però credo che per mantenere la loro purezza identitaria abbiano fatto delle cose che io non avrei mai accettato, comprare titoli sportivi, fondersi per guadagnare categorie, cose che alla fine il mio club non ha fatto. Ne ha fatte altre di spiacevoli, che abbiamo sempre contestato senza farle passare. Una di queste è stata mentre ero all’interno di Venezia United,  quando dopo l’ennesimo fallimento, la rinascita targata Tacopina ci tolse il nome Unione Venezia, quello mi ferì e fu un colpo decisivo per me. Non ho mai condiviso la scelta della tifoseria di accettare questa rinuncia.

Si è parlato molto negli ultimi tempi di identità e di tornare a cantare solamente Venezia. Bisogna tornare a quel nome perché si abbraccerebbe più gente della provincia per te?

Sarebbe come se la Sampdoria cantasse “Liguria” perché cosi viene più gente! E’ la storia del tuo club, devi andarne orgoglioso! L’identità di questa tifoseria si è creata dal basso, questo è il punto fondamentale, dal 1989 in poi la stampa ha martellato col nome Venezia e basta, ma nonostante tutto questo, una parte consistente, radicale, ribelle dei tifosi ha tenuto duro ed ha costruito la propria identità! Sono stati anni incredibili perché ci siamo trovati dalla c2 a battere la juve, poco dopo in serie a, qualcosa di impensabile. E ciò che si è costruito come curva ma anche all’interno della stessa città, come identità a 360 gradi, non solo sportiva. E’ stata una stagione quella tra la fine anni 80 al 2000 dove in città si respirava un’aria incredibile, e buona parte era dovuta al laboratorio che era lo stadio, che era la curva. C’era un esplosione culturale, musicale, tutti insieme ai concerti dei pitura, anche se non vi era nulla di strutturato, ma completamente spontaneo, una generazione e più di ragazzi di Venezia e Mestre che hanno imparato a riconoscersi come fratelli. E nessuno aveva mire politiche o altro, ma se i referendum son saltati in modo tanto lampante è dovuto anche a questo; prima del 1987 ci guardavamo in cagnesco dalle due sponde del ponte, la curva ha unito la città! La creazione della città metropolitana, ancor prima della politica, è nata allo stadio. Lì è nato un popolo diverso, unito, orgoglioso. In pochi hanno saputo leggere questa cosa, solo quelli che la amano, la leggono dal punto sociologico, capiscono come questo ha cambiato la città.

E’ un processo oramai concluso?

Dipende dalle nuove generazioni, non sono in grado di dare consigli. Ma per ciò che vedo credo sia il momento di una rivoluzione 2.0, perché quello è stato un momento costituente ed è giusto e naturale che lo si ricordi. La nascita di una cultura metropolitana nata dal basso, di ragazzi semplici, è stato un momento costituente. Adesso sarebbe bello che i ragazzi della curva si riappropriassero della propria città, coinvolgendo la terraferma, il centro storico, anche le nuove comunità che ormai fanno parte della nostra terra.

Un consiglio alla società?

Non nascondere la storia ma anzi esserne orgogliosi e riappropriarsene. La storia del club arancionero dal 1929 al 1987 è nostra ed è parte di questo club tanto quanto la controparte neroverde dal 1907 al 1987 e dobbiamo esserne orgogliosi.

Messaggio per la curva ed i più giovani?

E’ importante che ogni generazione viva lo stadio, l’appartenenza e la militanza a suo modo ed i vecchi non devono giudicare il loro percorso. E’ la loro storia adesso ed io sono solo contento che 36 anni dopo stiano ancora portando avanti il nostro ideale e la nostra passione. Fate ciò che credete, avete ragione voi. E’ il vostro momento.

Un tuo rammarico di quegli anni?

Il mio rammarico in mezzo a tutto ciò è non essere riusciti a diventare co proprietari del club, entrare in quote societarie. Non per aver, ovviamente, nessuna ambizione nel comandare o decidere, ma per essere il baluardo a difesa del nome e dei colori, si sarebbe sancito per sempre un patto tra tifoseria e società che ci avrebbe protetto almeno sui temi fondamentali.

Vuoi aggiungere qualcos’altro Franz?

Fammi solo sfatare il mito della cacciata di Zamparini. Lui disse che gli ultras volevano imporgli un centro sociale all’interno del nuovo stadio. Noi avevamo chiesto che i sedili fossero reclinabili, per avere una standing area come in tutti gli stadi. Dopo aver girato l’Europa chiedemmo anche uno spazio autogestito dai tifosi per trovarsi prima della partita e nella settimana. Il progetto Zamparini prevedeva 300 mila metri quadri di uffici, parcheggi, noi ne chiedevamo 300 di metri quadri. Ecco il centro sociale. Se qualcuno pensa che sia scappato per uno sgabuzzino da concedere ai tifosi.. è lui che ha deciso di andarsene, non il comune che si è opposto, probabilmente non ha trovato i fondi oppure ha preferito altri lidi. La verità è che io non guardo al suo Palermo in Europa, ma a come li ha fatti fallire, proprio come noi.